Kyoto ci ha accolti con la sua eterna dualità: tradizione e modernità, sacro e profano, silenzio e caos urbano. Due fotografi, due approcci completamente diversi, ma un’unica passione per catturare l’essenza di questa città straordinaria
Il Giappone culturale di Alessandra
Alessandra ha scelto fin dal primo giorno un approccio più contemplativo e architettonico. Con il suo fedele 24-105mm, si è dedicata a immortalare la bellezza senza tempo dei giardini zen e dei templi millenari. La sua fotografia racconta il Giappone attraverso i dettagli che spesso sfuggono al turista frettoloso: le linee perfette di un tetto tradizionale, il gioco di luci e ombre nei cortili interni dei templi, la geometria impeccabile dei giardini di pietra.
Il suo zoom le permetteva quella versatilità necessaria per passare dai grandi panorami dei complessi templari ai dettagli più intimi: una lanterna di pietra coperta di muschio, le mani giunte di un monaco in preghiera, i riflessi dorati sui paraventi del Kinkaku-ji. Alessandra fotografava il Giappone che resiste al tempo, quello che mantiene intatta la sua spiritualità nonostante il mondo moderno che lo circonda.
La sua pazienza nel aspettare la luce giusta, nel trovare l’angolazione perfetta per esaltare l’architettura tradizionale, ha prodotto immagini che vanno oltre la semplice documentazione turistica. Ogni suo scatto era un omaggio alla cultura giapponese, un tentativo di catturare quell’armonia tra uomo e natura che permea ogni aspetto dell’arte nipponica.
La street photography e i dilemmi dell'autenticità
Mi sono trovato davanti al solito dilemma che tormenta ogni fotografo di strada: cercare l’originalità o arrendersi al fascino delle immagini iconiche? Una settimana a Kyoto con la macchina fotografica al collo, e quella domanda che mi martellava in testa: “Stai per fare le solite foto da cartolina che invadono Instagram, o riuscirai a trovare qualcosa di tuo?”
Ho deciso di partire con un approccio metodico. Il mio 35mm per le giornate diurne, perfetto per catturare quella distanza intima che amo tanto nella street photography e per immortalare le scene urbane con una prospettiva più personale. Quando calava la sera, invece, passavo al 24mm e cambiavo completamente registro: preset in jpeg, bianco e nero dai contrasti decisi. Niente raw, niente post-produzione infinita. Solo l’istinto e la magia del momento catturata direttamente in camera.
I giardini Zen e la ricerca della perfezione
Per Alessandra, ogni giardino era un universo da esplorare con la macchina fotografica. Il Ryoan-ji con le sue quindici pietre disposte in apparente casualità, il Ginkaku-ji con i suoi sentieri di ghiaia rastrellata, il Tenryu-ji con il suo stagno che riflette i colori dell’autunno. Il 24-105mm le consentiva di giocare con le prospettive, di comprimere o allargare gli spazi secondo l’emozione che voleva trasmettere.
La sua fotografia dei giardini non era mai statica. Sapeva aspettare il momento in cui un raggio di sole filtrava attraverso i rami di un acero, creando quei contrasti di luce che trasformano un semplice angolo di giardino in un’opera d’arte. Le sue immagini catturavano non solo la bellezza visiva, ma anche quella sensazione di pace profonda che si prova camminando in silenzio tra questi spazi sacri.
Ombrelli trasparenti e poesia urbana
Il cielo di Kyoto mi ha fatto un regalo inaspettato: due giorni di pioggerella leggera. E qui ho capito perché i giapponesi sono innamorati di quegli ombrelli trasparenti. Non è solo praticità, è pura poesia visiva. Le gocce che scivolano sul vinile creano una texture che trasforma ogni scatto in qualcosa di magico. Il 24mm è diventato il mio migliore alleato nelle ore serali: riuscivo a catturare non solo il soggetto sotto l’ombrello, ma tutto il contesto urbano che si rifletteva e si distorceva attraverso quella cupola di plastica bagnata.
Ma la vera sorpresa è stata la cordialità incredibile dei giapponesi. Non solo si lasciavano fotografare con naturalezza, ma erano genuinamente interessati a vedere i risultati sul display della macchina. Anche quando la barriera linguistica sembrava invalicabile, bastava un sorriso e il linguaggio universale della fotografia faceva il resto. Mi commentavano le immagini con gesti ed espressioni che valevano più di mille parole in inglese


L'Arte della composizione nei Templi
Alessandra aveva sviluppato un occhio particolare per la composizione architettonica. Nei templi di Kyoto, ogni elemento ha un significato preciso, ogni linea racconta una storia. Con il suo 24-105mm riusciva a isolare dettagli che raccontavano storie millenarie: le tegole curve dei tetti che sembrano onde pietrificate, i pilastri di legno scurito dal tempo, le corde sacre che delimitano gli spazi più sacri.
La sua pazienza nel aspettare che i turisti si spostassero per ottenere l’inquadratura pulita era ammirevole. Spesso la vedevo ferma per minuti interi, studiando come la luce cambiava l’atmosfera di una scena, come un’ombra potesse valorizzare un particolare architettonico. Le sue fotografie dei templi non erano mai fredde documentazioni, ma interpretazioni personali di spazi carichi di spiritualità.
Il ritmo della luce e due filosofie fotografiche
Durante quelle giornate a Kyoto ho sperimentato due filosofie fotografiche completamente diverse, quasi come se avessi due personalità dietro l’obiettivo. Il giorno apparteneva al RAW e alla pazienza della post-produzione, la sera al JPEG e all’immediatezza dell’istante catturato.
Con il 35mm e i file RAW diurni, mi concedevo il lusso del controllo assoluto. Ogni scatto era un investimento nel futuro: sapevo che a casa avrei potuto recuperare dettagli nelle ombre dei vicoli, bilanciare la luce dura del sole di mezzogiorno, correggere dominanti cromatiche indesiderate. Era un approccio più cerebrale, più tecnico.
La sera, invece, con il 24mm e i preset JPEG in bianco e nero, entravo in una dimensione completamente diversa. Era fotografia pura, senza rete di sicurezza. I contrasti forti del preset mi costringevano a essere più preciso, più attento. Ma proprio questa limitazione mi liberava: invece di pensare alla post-produzione, mi concentravo completamente sulla composizione, sul momento decisivo, sull’emozione dell’istante
Due sguardi, un'unica passione
Alla fine del viaggio – che includeva anche due giorni a Osaka e una tappa a Hong Kong – ci siamo ritrovati con circa 5000 scatti complessivi tra raw e jpeg. Due archivi fotografici completamente diversi ma complementari: le mie immagini raccontavano la vita quotidiana di Kyoto, i suoi abitanti, le sue strade; quelle di Alessandra immortalavano l’anima culturale e spirituale della città.
Questo viaggio ci ha insegnato che non esiste un modo “giusto” di fotografare una destinazione come Kyoto. La street photography e la fotografia architettonica possono convivere, arricchendosi a vicenda. Mentre io cercavo l’autenticità nei gesti quotidiani e nei volti delle persone, Alessandra la trovava nella perfezione geometrica dei giardini e nella maestosità dei templi.
Per ogni viaggiatore con la passione per la fotografia, Kyoto rappresenta una sfida e un’opportunità: quella di trovare la propria voce visiva in una città che ha già ispirato milioni di immagini, ma che continua a offrire nuove prospettive a chi sa guardare oltre i cliché.

